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"C’è
davvero la malattia mentale?”, una domanda bizzarra per chi, come la
cooperativa sociale CREA, si occupa dal 1998 di servizi
socioriabilitativi ed educativi in strutture di ordine psichiatrico pubbliche e
private. Una domanda che lascia intendere come CREA guardi alla malattia
mentale: rispetto e tenerezza , nessun dubbio circa l'essere tutti
normali, ognuno a modo proprio, nessuna verità in tasca se non quella che ogni
essere umano vada messo al primo posto, avvicinato in punta di piedi, interpretato
attraverso le sue peculiarità. Ognuno, in fondo, è nel suo viaggio, ognuno è
diverso, canta Vasco Rossi, ma l'essere “diverso” è un valore identitario, è
addirittura un diritto e “quando perdiamo il diritto a essere diversi, perdiamo
il privilegio di essere liberi”, ricorda Charles Evans Hughes.
Rimanere
orientati alle persone, alla loro umana umanità, non può, allora, prescindere
dall’ascoltarle sempre come se fosse la prima volta. Ecco perché il meeting del
14 aprile 2023 presso Assolombarda Monza, dove CREA ha celebrato i suoi primi
25 anni di attività, si è aperto con un Dialogo Aperto tra gli utenti che negli
anni hanno frequentato i servizi offerti da CREA (Comunità Terapeutiche,
Urgenza Psicologica, Centro Clinico) e gli operatori che li hanno accolti. Un
Dialogo Aperto, certo, perché è quello che non ha risposte preconfezionate, non
ha ricette valide per tutti, è quello che lascia l’ideologia sullo sfondo,
curandosi solo di coltivare il desiderio di abitare la vita, ben sapendo che la
salute fiorisce dove gli abiti sono il più possibile tagliati su misura, dove la
soggettività può stare comoda.
"Open Dialogue" è anche una cultura, quella che Beppe Tibaldi,
primario di psichiatria a Carpi, ha promosso sul territorio italiano e che CREA
ha fatto sua, un approccio che guarda alla condivisione di esperienze come a un
valore, che strizza l'occhio alla de-prescrizione degli psicofarmaci (perché la
camicia di forza chimica è davvero una cura?), alla valorizzazione delle
esperienze di coloro che l’esperienza di presunta malattia mentale la fanno sulla
propria pelle.
Il "discorso dialogico" punta il faro sulle storie positive, si
spende per eludere la distorsione cognitiva che colpisce i professionisti della
salute mentale quando scivolano nel pessimismo prognostico: si rischia di non
de-prescrivere se non si ha fiducia nell'evoluzione positiva di un paziente, si
rischia di pensarsi con la verità in tasca e scegliere cosa sia bene per lui,
senza interpellarlo.
La
co-costruzione dei processi decisionali rimane l'elemento chiave dei percorsi
dialogici: stare alla larga da quel paternalismo democratico che tanto danno ha
fatto alla salute mentale, e probabilmente alla salute in generale, rimane la
meta a cui tendere. Prendere decisioni per i diretti interessati, diretti
interessati assenti, è un atteggiamento miope, borioso, egoico e
anticostituzionale (legge 219/2017). Fare prevalere i discorsi
generali-universali sulla considerazione della dimensione singolare della vita
e della sua umana umanità non può essere la strada.
Ascoltare, accompagnare, esserci lasciando decidere, in una parola
autodeterminazione, è la posizione che anche PROBABILITA' ha fatto sua. Trattasi di una
realtà che, in partnership con CREA e con la cooperativa sociale Limen,
intende concentrarsi sulla disabilità cronica o temporanea, facendo di un'ampia
expertise di professionisti una task force a fianco del sistema sanitario
assistenziale, accogliendo la grande opportunità degli ospedali di comunità: Se
uniamo le forze, le forze si moltiplicano.
In questo scenario fatto di partecipazione e interazione, la "festa"
di CREA si chiude con un breve momento teatrale, dove ancora una volta la
fatica di vivere apre la scena e sta sulla scena con tutta la sua presenza
ingombrante. Perché la fatica di vivere è fatta così, chiede protagonismo e,
sebbene spesso non abbia nemmeno una ragione apparentemente concreta per
esserci, vuole ascolto. Nei panni del protagonista di "Da dove sto
chiamando", di Raymond Carver - che sulla sua pelle ha vissuto la fatica
di essere un alcolista - Giovanni Castaldi si chiede: "Perché ho
cominciato a bere, nonostante la mia vita avesse contorni perfetti…una bella
moglie, due figli…?".
Quando
mancano le parole, quando tutto appare compromesso, quando tutto diventa impossibile
da sopportare, quando c’è troppo dolore, quando si è alla fine delle proprie forze,
quando muore qualcosa in cui abbiamo profondamente creduto, allora… interrompere
i legami con il mondo, tagliare la corda, spegnere tutto, appare la soluzione.
L’unica.
Il disagio
arriva in sordina e subdolamente riempie tutto lo spazio.
Perché?
E chi assiste, chi c'è e guarda, chi sta intorno, cosa può fare di fronte al disagio
che incombe?
Tutti i
presenti hanno provato a dare una risposta, la loro, perché la condivisione
apre nuovi orizzonti interiori. Non più soli, né i soli. La condivisione
lenisce la condizione di straniamento.
"Ascoltare
la sofferenza altrui, tirandosi indietro".
"Abbandonare
l'assillo di tenere tutto sotto controllo".
"Accogliere
l'incertezza, imparare ad abitarla".
"Accettare
i tempi biblici che ingabbiano la malattia, che rallentano la cura”.
“Accettare e
basta. Stare".
C'è davvero la malattia mentale? E se la psicosi altro non fosse se non vita in
un mondo parallelo? Allora, si dovrebbe stabilire il diritto ad essere
psicotici.
"E' un
modo di vivere le emozioni, sfuggire alla precarietà, al dolore, che è
un'emozione innata ed è più facile da aver dentro rispetto al piacere...io ne
ho fatti una marea di ricoveri", dice un uomo tra il pubblico.
"Quando
ci si scompensa? Ho avuto tre crisi psicotiche, l'ultima nel 1998, star bene è
anche un dovere, quindi poi io ho cercato tanto per stare bene... E adesso
sarei guarita? Ma allora prima ero ammalata? A volte ci si scompensa anche
quando si ha troppo…una bella moglie, due figli splendidi... c'è un mistero
dietro la malattia", aggiunge una donna, molto nota nel panorama lombardo
della cura psicologica, che ringrazio per la lezione di vita che mi ha fornito
con la sua trasparenza. A testa alta. Sempre.
La nostra
vita appare circondata da fratture, perdite, lacerazioni, ferite, fantasmi. Non
a caso Freud definiva il divenire della vita come una serie successiva di tagli.
E il senso del mondo, a volte, viene meno.
“Dalla
psicosi non si guarisce mai”. Forse no. “C'è sempre una profonda solitudine che
non può essere protesizzata con belle mogli, figli splendidi, beni vari. Troppa
realtà rischia, a volte, di appesantire l'essere umano”, aggiunge uno degli
ospiti. Pretendere di normalizzare è un sopruso: ci vuole rispetto. Nella vita
abbiamo solo bisogno di imparare a rispettare cose, situazioni, persone.
"E' una trappola usare la parola 'malattia’”, conclude Cersosimo,
"desease, dicono gli americani, e va meglio, perché sta per disagio.
Dal 1978 non si è ancora sciolto lo stigma, capita che i vicini di casa abbiano
paura... Noi cittadini abbiamo un'influenza fondamentale sulla cultura della
malattia psichiatrica".
Appunto. Abbiamo voce in capitolo. Postilla da non scordare.
Avanti
tutta.
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Per INFO: segreteria@cmtf.it o 02 4815350.
Per iscriversi è necessario compilare il modulo al seguente link
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